Caro Enzo,

inizio col rivolgermi a te, non per fare graduatorie di merito o ignorare (come hanno fatto in troppi) gli altri fratelli e sorelle che sono stati, inutile usare un eufemismo, espulsi da Bose, ma perché è palese che è soprattutto a causa tua (il che non vuol dire per colpa tua) che si sono riversati anche sugli altri l’odio e la furia dei parabolani/talebani che hanno preso in mano i destini della comunità che tu hai fondato, supportati da un’istituzione ecclesiale che sembra aver dimenticato ormai del tutto il vangelo e che ha optato palesemente per il ricorso a strumenti totalitari, degni dei peggiori regimi al mondo. Il tutto, infine, sotto gli occhi compiacenti e in larga misura complici di una stampa cattolica che conferma l’attuale abbandono della traiettoria conciliare da parte della chiesa italiana.

Non intendo con questa lettera aperta gettarmi in ulteriori analisi delle divisioni occorse e delle tue eventuali corresponsabilità, che mai ho negato e che non sono il punto fondamentale della questione. Già mi sono espresso con molta chiarezza dalle pagine del mio blog e non solo, e da persona franca e libera quale sono non ho nascosto nulla mentre imperversavano in rete le fazioni, e soprattutto ho sempre detto direttamente in faccia a tutti (te compreso, come ben sai) quelle che ritenevo essere deviazioni dal vangelo, esortando tutti e ciascuno unicamente alla carità, al dialogo e alla riconciliazione.

Voglio dirti innanzitutto che ammiro profondamente la lealtà alle vostre chiese di appartenenza che tu, Antonella, Goffredo e Lino avete sempre mostrato, confermandola anche in questa occasione. Siete cattolici, alla chiesa cattolica avete dedicato sempre in primis la vostra appassionata opera di testimonianza e di riflessione, e ad essa avete deciso di appellarvi anche in questi travagliatissimi mesi.

Come sai io non mi riconosco da oltre un decennio in alcuna chiesa, e pur avendo sperato che il Vaticano II avesse avviato un cammino di risanamento dell’enorme vulnus inferto al vangelo dal Vaticano I, mi sono convinto da tempo che una vera riforma sia intrinsecamente impossibile nel cattolicesimo istituzionale, e che si possa essere pienamente cristiani anche senza appartenere formalmente a una confessione o senza fare riferimento ad alcuna autorità ecclesiale.

Il mio essere “diversamente cristiano” non mi porta tuttavia mai a fare “il tifo contro” nessuna chiesa o comunità, ma soltanto a cercare di favorire i semi di vangelo e di riconciliazione sparsi ovunque. Ciò nonostante, se un tempo ritenevo, con il grande teologo anglicano Richard Hooker, che si potesse parlare di infallibilità della chiesa “eventually”, prima o poi (dunque senza alcuna certezza o strumento incrollabile), sono ormai convinto che l’unica cosa che sia veramente infallibile è il vangelo, e l’unica figura umana pienamente degna di fiducia sia Gesù di Nazareth.

Caro Enzo, non so se posso chiamarti “amico”, nel senso che l’amicizia è fatta di intimità, di rapporti preferenziali, di complicità che non so se ho mai intrattenuto con te. Sicuramente, però, ti posso e ti voglio chiamare “fratello”. Sei fratello perché da te ho imparato molte delle cose più importanti in assoluto per la mia vita, in primis il primato del vangelo e l’importanza della misericordia, oltre alla passione per la conoscenza e la fatica del pensare. E con me hanno imparato queste cose dalla tua testimonianza personale decine di migliaia di persone, in Italia e non solo.

Carissimi Antonella, Enzo, Goffredo, Lino,

e voi tutti fratelli e sorelle di Bose che vi riconoscete ancora nei valori fondamentali del vangelo ma ora vi sentite contraddetti, avviliti o perfino umiliati, io non ho e non avrò mai l’ardire di dirvi: “Fatevi carico di questa croce”. Come ho già scritto altrove, solo il Signore può dirvelo, e solo voi potete riconoscere la sua voce e decidere cosa sia e cosa non sia una sua croce da portare. Se altri cercano di identificare per voi le vostre croci, oltre a essere superficiali e inumani, sono molto vicini alla bestemmia. Dio vuole che viviamo, non che moriamo, oppure è un idolo in cui non bisogna credere neppure un istante.

Posso solo ricordarvi, umilmente, come vostro fratello, ciò che Enzo stesso ci ha insegnato e ha spesso ripetuto, e cioè che nessuno può impedirci di vivere il vangelo, neppure la chiesa. Voglio perciò innanzitutto ringraziarvi pubblicamente per avere cercato un dialogo, da veri cristiani, con chi vi colpiva in maniera potenzialmente mortale. La ragione, infatti, non sta mai da una parte sola, e pur compiendo anche voi i vostri errori sono pienamente cosciente della vostra costante ricerca e attesa di soluzioni più umane e cristiane alla crisi profonda che ha colpito la vostra (oso dire “nostra”) comunità.

Voglio ringraziarvi per avere cercato una ricomposizione in primo luogo per vie ecclesiali e non per tribunali. Si tratta di una scelta per nulla scontata. Il diritto a un processo equo è infatti uno dei capisaldi della Dichiarazione Fondamentale dei Diritti Umani del 1948, e il diritto canonico contiene (e fa uso di) strumenti in chiarissimo contrasto con questo documento fondamentale dell’umanità. La vostra decisione è ancor più degna di rispetto perché sicuramente, in sede civile, risulterebbe impossibile privarvi di ciò che avete largamente contribuito a realizzare sul piano materiale. E aggiungo che se anche decideste di appellarvi in futuro ai tribunali secolari, compirete un atto legittimo che non cambierà certamente la mia considerazione per voi.

Giunti a questo punto, però, visto che dall’altra parte si è voluta sancire antievangelicamente la definitività dell’allontanamento di alcuni di voi o l’inaccettabilità delle vostre posizioni o addirittura dei vostri dubbi in generale, credo che l’unico modo che avete per continuare a vivere il vangelo sia, come dice Gesù, prendere congedo da Bose “scuotendo la terra di sotto i vostri piedi a testimonianza per loro” (Mc 6,11).

Scuotendo la polvere si affermano infatti due cose fondamentali.

Innanzitutto è un gesto che avviene dopo che si è annunciato e chiesto di condividere uno stile evangelico e si è ricevuto in risposta un diniego. Perciò non solo è lecito ma è anzi un bene andare a vivere altrove il vangelo, senza sprecare energie in logiche di distruzione o di morte, o anche solo di tristezza e di impoverimento spirituale.

Ma è anche una chiara presa di distanza, in cui si dice: vi lasciamo anche la polvere di questo suolo, perché è suolo arido che non sentiamo più nostro.

Il monachesimo ha portato splendori ma anche talvolta oscurantismi nella storia umana e dello spirito. Ha prodotto figure meravigliose e gruppi di fanatici pronti a lacerare una donna straordinaria come Ipazia sull’altare delle loro chiese.

C’è un modo altro, però, di vivere il radicalismo cristiano, carissimi fratelli e sorelle. Il “siamo semplici cristiani” è l’intuizione forse più cruciale di chi ha dato vita all’esperienza di Bose, sulla scia di esperienze esemplari come quella di sorella Maria a Campello, a cui vi invito a tornare come fonte e ispirazione, pur con i tratti tipici delle vostre ricche personalità.

Sono certo che saprete continuare a essere semplici cristiani e a testimoniare il vangelo. Io sarò sempre al vostro fianco, perché sono vostro fratello nel Signore

Riccardo Larini

Tallinn, 6 marzo 2021