In un bell’articolo pubblicato sulla Stampa il 13 gennaio a firma Andrea Bucci (che per inciso non ho il piacere di conoscere ma che ha riscosso istintivamente la mia stima), si racconta con precisione e rispetto la nuova vita scelta da Enzo Bianchi, in continuità con una vocazione e un ministero mai rinnegati e che nessuno – compreso papa Francesco – gli ha mai chiesto di smentire o di abbandonare.

Grazie all’aiuto dei molti amici che si è fatto seminando bene e aiutando a sua volta migliaia di persone per oltre cinquant’anni, il fondatore di Bose ha infatti comprato un cascinale ad Albiano di Ivrea, individuando dopo una lunga ricerca il luogo ideale in cui proseguire il proprio servizio alle chiese e agli uomini e le donne che vorranno incontrarsi con lui e compiere assieme a lui un pezzo di strada alla ricerca di senso e di una vita umana e cristiana più autentiche.

Non si tratta di una nuova fondazione religiosa, né di una “anti-Bose” o di un desiderio di rivincita, ma di un luogo in cui continuare a servire tutte e tutti coloro che lo vorranno, nella condivisione e mediante un’ospitalità molto semplice ed essenziale. Non vi è attorno, a quanto mi risulta, alcun progetto ben preciso o predeterminato. Della sua ricerca di un luogo idoneo a continuare il proprio itinerario personale da qualche parte nel Piemonte, Bianchi ha informato da subito sia il priore di Bose Luciano Manicardi, sia Amedeo Cencini, il delegato pontificio incaricato dal papa di attuare il decreto singolare del Segretario di Stato.

Il periodo susseguitosi alla consegna del decreto alla comunità di Bose non è stato semplice per nessuno. Va tuttavia dato atto a Bianchi, al di là di qualche tweet in cui ha lasciato trapelare la propria sofferenza per la sorte che ritiene gli fosse toccata ingiustamente, di non essersi mai lasciato andare ad attacchi personali nei confronti di chicchessia, e di avere scelto molto semplicemente di guardare avanti e di continuare a predicare il vangelo alla sua maniera (che, ovviamente, sarà sempre opinabile, come qualsiasi predicazione umana), difendendo tra l’altro a più riprese lo stesso responsabile (in ultima istanza) dei provvedimenti più duri nei suoi confronti, ovverosia Jorge Mario Bergoglio.

Al di là di illazioni o di dietrologie maliziose e infantili, non ci è dato sapere chi andrà a vivere con lui, per periodi di tempo più o meno prolungati, nella dimora di Albiano. Non di meno credo che alcune precisazioni siano necessarie, vista la nuova ondata di fango gettata da alcuni contributi pseudo-giornalistici e dal consueto piccolo stuolo di tweet velenosi e maliziosi apparsi in questi giorni.

Innanzitutto, il provvedimento della Segreteria di Stato riguardava unicamente la rimozione di Bianchi e di tre suoi confratelli e consorelle dal tessuto comunitario, ritenuta necessaria per consentire alla comunità di Bose di svilupparsi in maniera consona al giudizio dei visitatori inviati dalla Santa Sede. A tal fine – che ovviamente può essere ritenuto legittimo – il decreto prevedeva dei dispositivi che tuttavia violano chiaramente la Dichiarazione universale dei diritti umani nonché la legislazione italiana, come la mancanza di un regolare processo e di una possibilità di difesa per gli “imputati”, l’allontanamento dalla legittima dimora e la negazione dei diritti di partecipazione alle proprietà materiali (e spirituali) maturati dai “condannati” tramite decenni di attività professionali e lavorative.

Come ho già rilevato a più riprese, compreso nel mio libro dedicato alla parabola globale di Bose, purtroppo si è registrato al riguardo di queste gravissime violazioni un silenzio pressoché tombale (e complice) della stragrande maggioranza dei “vaticanisti” italiani, più o meno prestigiosi o autoproclamatisi tali. Perché, in fin dei conti, la laicità è un valore che a distanza di quasi tre secoli dalla comparsa dell’Illuminismo non è stato ancora accettato da buona parte dell’establishment cattolico, e nel nostro paese i vaticanisti non sono quasi mai laici, ma pressoché sempre cattolici e schierati per qualche corrente ecclesiale.

Malgrado ciò, e contrariamente a quanto scritto abbondantemente e a sproposito da alcuni, i quattro membri della comunità raggiunti direttamente dalle ingiunzioni personali del decreto hanno tutti obbedito all’ordine di lasciare Bose e di rinunciare ad alcuni loro fondamentali diritti civili, peraltro di per sé inalienabili. 

Detto questo, come ribadito anche nella Lettera agli amici pubblicata dalla stessa comunità di Bose il 19 giugno 2020, non vigendo alcuna imputazione di natura morale o dottrinale nei confronti di Bianchi, Boselli, Breda e Casiraghi, a nessuno di loro è stato proibito di «esercitare il ministero monastico di ascolto, di accompagnamento, di predicazione, di studio, di insegnamento, di pubblicazione, di ricerca biblica, teologica, patristica, spirituale». Sono rimasto perciò allibito dalle elucubrazioni di Marco Grieco, che nella stessa giornata dell’articolo di Bucci ha, ancora una volta, inondato con un’abile miscela di falsità maliziose (molte) e precisi dettagli corrispondenti al vero (una manciata) i lettori di Domani. Secondo Grieco, infatti, Bianchi continuerebbe a disobbedire al decreto vaticano in quanto un vero esilio dovrebbe anche comportare una totale cessazione di qualsiasi attività di predicazione da parte del fondatore di Bose (probabilmente anche qualche atto pubblico di mea culpa in piazza San Pietro, un’autoflagellazione nella cappella della Sindone e quindi una definitiva scomparsa dal genere umano…).

Al di là di queste iperboli, neppure così esagerate viste le follie canonistiche e civilistiche sostenute dal presunto esperto di questioni religiose della testata giornalistica Domani, va ribadito che l’unico divieto fatto agli allontanati da Bose, oltre a quello di dimorare a Bose e di intrattenere rapporti con qualsiasi altro membro della comunità (e dunque anche tra loro), è quello di “fondare comunità, associazioni o aggregazioni ecclesiali” (parole testuali del Decreto singolare). Sono certo, a questo proposito, che l’ultimo desiderio che passa attualmente per la testa sia di coloro che sono usciti da Bose a seguito di questa tristissima vicenda, sia di coloro che sono stati allontanati per decreto, sia di quanti potrebbero considerare di lasciare in futuro la comunità per una ragione o per l’altra, è la volontà di fondare una qualsiasi aggregazione di natura ecclesiale. Nessuno di tutti costoro, ne sono certo, pur rimanendo fedele alla propria chiesa di appartenenza, ha il desiderio ardente dopo tutto quello che è successo di rappresentarla ufficialmente tramite qualsivoglia associazione…

Al tempo stesso, però, a nessuno di loro la chiesa – nessuna chiesa – può impedire di vivere il vangelo, in compagnia di chi si vorrà scegliere, in maniera più o meno stabile e regolamentata dal diritto civile. In maniera ancora più laica, nessuna autorità ecclesiale (e men che meno qualche giornalista pio o religioso) può dettare a un singolo battezzato come e dove vivere quotidianamente la propria vita (esiste una cosa che si chiama coscienza, ritenuta fondamentale anche in ambito religioso, lo ricordo ai meno informati…).

Avevo promesso di dire qualcosa anche riguardo alle farneticazioni di Eusebio Episcopo comparse su Lo Spiffero il 9 gennaio scorso. Penso che chiunque definisca il peraltro amabilissimo monsignor Luigi Bettazzi un grande uomo di potere e un burattinaio che avrebbe avuto tra le mani addirittura le nomine episcopali (e papali!, in combutta con il cardinale Silvestrini, di cui oltre a non essere concittadino manco era amico personale o collaboratore…) dell’intero ecumene cattolico non meriti la fatica di un commento. Non di meno, va ovviamente fatto notare che lo stabile acquistato da Bianchi non è il castello vescovile di Albiano, residenza estiva dei vescovi di Ivrea in cui da vent’anni a questa parte si è ritirato lo stesso Bettazzi dopo aver lasciato la guida della diocesi eporediese, bensì un cascinale che, in maniera decisamente casuale e senza alcun aiuto da parte del vescovo emerito di Ivrea, Bianchi ha individuato nel territorio dello stesso comune di Albiano dopo assidue ricerche in tutto il territorio del Piemonte. L’unico castello che compete all’articolo di Episcopo è perciò quello delle fandonie che, in maniera decisamente maldestra e maliziosa, ha messo insieme per colpire in un sol colpo e a casaccio tutti coloro che gli stanno sullo stomaco, a partire dall’attuale pontefice e da chiunque egli ritenga troppo “progressista”.

Un’ulteriore precisazione doverosa va fatta a chi si chiede da dove provengano i fondi necessari all’acquisto del cascinale di Albiano da parte del fondatore di Bose. Il modo migliore per rispondere a questo dubbio è citare – non credo conformemente all’intenzione del suo autore, che sono certo non me ne vorrà – questo “amabile” tweet di Massimo Faggioli: “Vorrei sapere (perché sarei tentato di farlo anche io) come si fa a farsi punire dal papa con ‘decreto singolare’ firmato dal Segretario di Stato, e poi comprare un immobile di 18 vani, con giardino e sette ettari di terreno”.

La risposta è molto semplice, al di là del singolare zelo espresso nel recarsi a compiere ricerche nei registri catastali fin dai lontani Stati Uniti: caro Faggioli, se in vita tua, invece di continuare a seminare veleno a destra e a manca, darai agli altri almeno un millesimo di quello che ha dato Enzo Bianchi al suo prossimo (te compreso, te lo ricordo en passant…), forse potrai sperare – qualora dovessi mai cadere in disgrazia e non ottenere quella cattedra in facoltà pontificie a cui tanto aneli con le tue generose e reiterate stilettate al fondatore di Bose ma non solo – di avere qualcuno che aiuti sia te sia il tuo eventuale ministero.

Una domanda fondamentale la rivolgo anch’io, per concludere questo mio intervento, a tutti coloro che continuano a esprimere in mille forme astio e accanimento nei confronti di Enzo Bianchi.

Si può certamente dissentire, ogni volta che lo si vuole, da sue singole prese di posizione. Si può non trovarlo simpatico o non amare il suo stile. Si può ritenere che sia lui sia la stragrande maggioranza della sua comunità non abbiano saputo vivere (soprattutto in anni recenti) all’altezza di quanto hanno vissuto e predicato per molti anni. Ma hanno tutti pagato, e tanto.

Essere costretti in maniera netta e brutale a rinunciare a tutto quello che si è costruito per una vita e a ricominciare da capo da qualche altra parte a trovare e seminare senso mi pare già una punizione più che sufficiente, ammesso che nella chiesa l’idea di punizione debba mai prevalere rispetto a quella di misericordia e di riconciliazione.

Ma allora, perché continuare ad accanirsi contro di lui e contro coloro che vorrebbero comunque rimanergli in qualche misura fedeli per tutto il bene (davvero tanto) che ha fatto? Perché questo desiderio di vederlo quasi scomparire fisicamente dalla faccia della terra?

A ognuno di coloro che non riescono a trovare altro che veleni e amarezze nel loro cuore, chiedo di guardarsi dentro in profondità. Perché non credo che si aiuti né Bose né la chiesa né tutti coloro che hanno percorso un tratto di cammino accanto ai fratelli e alle sorelle di quella comunità con atteggiamenti che, con lo spirito narrato e vissuto a lungo da Bose, non hanno nulla a che vedere. E il fatto che dall’altra parte delle nostre insinuazioni, falsità e accuse non si risponda con cause e con querele che peraltro sarebbero legittime (e a mio parere addirittura doverose), non è segno di debolezza di chi vorremmo colpire, ma ben al contrario di saldezza umana e mitezza cristiana.

A lungo Bose è stata migliore di noi tutti. È giunto il momento di restituirle il servizio, comportandoci in maniera più degna di chiunque non si è mostrato eventualmente all’altezza – ammesso stia a noi giudicarlo – del proprio difficilissimo e meraviglioso ministero. Tutto il resto non è evangelico. Non è vangelo.