Ho sempre amato i calendari, con il loro succedersi di nomi, di ricorrenze, di feste. E ho sempre sognato – forse un giorno lo farò – di comporre un “libro dei testimoni” veramente universale, contenente la menzione, un breve ricordo e qualche frase, di tutte le figure che mi hanno in qualche modo ispirato.

Non penso tanto a celebrare una qualsivoglia idea di “santità”, seppure in qualche modo laicizzata. Credo infatti molto poco a tale categoria, che spesso cela – come ci ha ricordato René Girard – meccanismi insidiosi, come ogni invito all’emulazione, in apparenza così bello, puro e altisonante…

Penso piuttosto a come in ciascuna delle nostre vite vi siano figure che, con le loro parole (o i loro gesti creativi) hanno in qualche misura, tramite risonanze o modalità più o meno misteriose, gettato frammenti decisivi di luce sul nostro cammino verso l’eudaimonia, verso la ricerca di una realizzazione di noi stessi, nella nostra unicità, con gli altri e non contro gli altri.

In un calendario/libro di memorie ispiratrici come quello che ho descritto, il 3 marzo è per me un giorno assai particolare, perché è la data di nascita di Enzo Bianchi, che ottant’anni fa vedeva la luce a Castel Boglione, piccolo paesino del Monferrato.

Enzo, più di ogni altra persona che ho avuto il piacere di conoscere e con cui ho avuto l’onore di compiere un tratto di cammino, ha nutrito a fondo la mia ricerca di senso, in anni per me decisivi.

Non voglio costruire alcuna immagine agiografica o patinata del fondatore di Bose, né credo stia a me giudicare il suo agire più globale in positivo o in negativo. E trovo molto triste che vi sia chi, ancor oggi, ritenga nella stessa chiesa a cui Bianchi appartiene, di poterlo accomunare indistintamente a figure decisamente più controverse rispetto alla sua.

Voglio tuttavia condividere almeno tre ragioni per cui nutro profonda gratitudine nei suoi confronti, al di là del nostro rapporto personale, in cui non entro perché amo molto poco la passione (morbosa) imperante per i dettagli personali, le “testimonianze”, i frammenti di intimità condivisi coram populo.

La prima è che in undici intensissimi anni vissuti al suo fianco, la mia passione per lo studio, la conoscenza, la comprensione del mondo e dei miei simili ne è uscita non solo confermata, ma anzi ulteriormente rafforzata. Perché Enzo Bianchi vive di passione per la scoperta di ciò che gli sta intorno, e trasmette tale passione in maniera decisamente contagiosa.

La seconda è che non ho mai incontrato, né prima né dopo averlo conosciuto, una persona con la sua capacità di creare esperienze liturgiche così capaci di condurre chi vi partecipa – credente o non credente – a un cammino di profonda trasformazione interiore.

La terza è che è decisamente raro imbattersi in ambiti religiosi, soprattutto cattolici, in una libertà di pensiero analoga a quella di Bianchi, capace di avere come unico orizzonte fondamentale e decisivo il rispetto per l’umanità, senza alcuna eccezione o divisione in gruppi o categorie. E questo anche quando legge le sue amate Scritture, che non trasforma mai in un fine ma che considera sempre e solo uno strumento privilegiato per accedere all’unica realtà che ai suoi occhi conta veramente: Gesù di Nazareth, colui che ha narrato all’umanità il volto di Dio.

Accanto a queste tre ragioni, vi è una frase che gli ho sentito spesso citare e che a mio parere sintetizza perfettamente la ragione per cui siamo davvero in tanti e in tante a ritenere fondamentale l’esistenza di persone come lui: “Nessuno potrà mai impedirvi di vivere il vangelo. Neppure la chiesa”.

Caro Enzo, queste parole che hai predicato a più riprese in tempi non sospetti, quando venivi ampiamente osannato anche dal mondo ecclesiale, le hai sapute vivere sulla tua pelle, anche quando parte della chiesa ha deciso di volgerti le spalle o addirittura di mostrare profonda ostilità nei tuoi confronti. E per tale ragione sono diventate ancora più vere ed efficaci.

Buon compleanno, dunque, e grazie di cuore!