In diversi tra voi mi stanno chiedendo in privato cosa penso di quanto sta accadendo in Ucraina.

Con la storia e i problemi di quel paese ho a che fare dal lontano 1994, quando conobbi vari protagonisti delle divisioni tra chiese in quelle terre, portatori di istanze e visioni molto diverse (non solo pro o contro la Russia, non solo di natura religiosa, ma assai più complesse).

Ancor oggi ho amici ucraini (ma anche russi) con visioni estremamente differenti, radicate sia nella storia di divisione tra imperi dei secoli passati (che portarono parte di quelle terre sotto la corona polacca e nell’alveo del cattolicesimo), sia nelle loro simpatie di natura politica o religiosa, sia nelle loro radici etniche (ammesso e nient’affatto concesso che esistano da quelle parti molti russi o ucraini “puri”).

Fino a epoca molto recente (ma sarei felice di essere smentito) non esisteva neppure un manuale di storia globale dell’Ucraina redatto in lingue che io sia in grado di leggere. Dunque non è facile fondare qualsiasi lettura della storia di quel paese in studi abbondanti e oggettivi, come invece può avvenire quando si studiano altre storie e altri paesi.

Quanto ai fatti più recenti (iniziati non nel 2014, ma all’indomani del 1989, con la prosecuzione della guerra fredda voluta soprattutto da Washington, e poi all’improvviso sposata per ragioni di strategia interna e internazionale anche dalla Russia di Putin), non ritengo in alcun modo possibile fare affidamento su una generica “lettura dei giornali”, anche solo in chiave comparata, perché è ormai in atto una polarizzazione ideologica molto forte da entrambe le parti e le voci non da stadio o da propaganda sono rarissime. E questo non vale solo per la stampa di matrice russa o russofila, ma anche per quella nostrana, la cui qualità sulle questioni internazionali è molto scaduta da vent’anni almeno a questa parte.

In poche parole, pur essendo probabilmente molto informato, e pur conoscendo molto meglio di tanti la lunga storia dei problemi del confine tra oriente e occidente europeo, ritengo siano molto pochi i “fatti” su cui basarsi, e ancor meno penso sia possibile (almeno a me, ma molti frequentatori di Internet paiono essere molto più esperti…) dare interpretazioni certe di cosa sta accadendo. Per questo non solo non esprimo giudizi, ma difficilmente condivido voci o articoli altrui, salvo nel rarissimo caso in cui sia consapevole dell’estrema competenza di chi si esprime (e non lasciandomi guidare solo da sensazioni del tipo “a occhio mi pare una posizione sensata”). Ascoltare Romano Prodi, Sergio Romano, Lucio Caracciolo è una cosa, ad esempio, in ragione delle loro competenze e della loro provata storia personale in relazione a temi così complessi, a prescindere da quanto mi siano simpatici politicamente.

Ho anche io i miei valori e le mie convinzioni, ovviamente. Su tutti, quello che la guerra è pressoché inesorabilmente uno schifo, e che invocare ogni volta (lo si è fatto per l’Iraq, per la Serbia, e lo si farà ancora, purtroppo, da una parte e dall’altra) paragoni con la Germania di Hitler e la seconda guerra mondiale è come minimo un forte azzardo. Più spesso, però, è purtroppo un atto linguistico totalmente irresponsabile, perché quello che diciamo genera sentimenti e paure, annebbia i giudizi, e anche se non provoca da solo delle guerre diventa la base su cui costruire logiche che fanno male a troppe persone.

Guerra o non guerra (e a prescindere da quanto durerà), sono per contro convinto che – come sempre nella storia – solo se il processo di negoziazione che seguirà al conflitto terrà conto delle istanze e degli interessi di tutti sarà possibile non gettare le basi di ulteriori sofferenze e futuri e nuovi conflitti.

E sono convinto che l’Europa sia a una svolta. L’Europa ha fallito su molti fronti (lo dico da europeista convinto): non ha saputo darsi un’identità politica, una politica di difesa condivisa (ovverosia un esercito europeo), una politica energetica comune. Ha scommesso tutto sul mercato, nella mortale e continua illusione che esista sempre e comunque una “mano invisibile” che aggiusterà tutto, malgrado i nostri errori. Dopo il 1989, pur riuscendo ancora a impedire guerre tra i suoi membri (e non è poco, a ormai ottant’anni dalla seconda guerra mondiale), l’Europa non ha tuttavia saputo estendere al resto del suo territorio naturale la sua capacità di creare comprensione e collaborazione. E i suoi rapporti con il mondo esterno (Stati Uniti esclusi) sono decisamente peggiorati, contro i suoi stessi interessi.

La gestione della questione Ucraina, che non potrà essere svolta in maniera manichea, definendo a priori come mostri alcuni e come santi altri, sarà decisiva per farci capire se ormai stiamo muovendo verso un ciascuno per conto suo, o se crediamo veramente nella forza delle negoziazioni e dei conseguenti trattati internazionali.

Questi ultimi non sono mai dei puri gioielli, sono sempre imperfetti, si basano sempre sull’unico criterio reale delle relazioni internazionali: la compaginazione di interessi locali e nazionali differenti.

Come scriveva Reinhold Niebuhr, forzando forse un po’ le cose, “l’uomo è morale, la società è immorale”. Per lo meno, i valori e i criteri dei rapporti tra società o stati sono diversi rispetto a quelli che si possono ritenere virtuosi nei rapporti interpersonali.

Se però incominciamo a volgarizzare sempre più le nostre espressioni e ad adottare stili e logiche da stadio nell’agone politico, finiremo per rendere immorali anche gli esseri umani. E allora si farà tutto maledettamente più difficile.