Un terzo contributo dedicato al monachesimo e alla sua attualità, apparso sul numero 5/2022 di Rocca. Dopo aver spiegato in  Un monachesimo per tutti come intenda riprendere altrimenti la vita religiosa ed eventualmente pubblicare un libro sull’argomento, e aver esplorato in un secondo contributo le ombre dell’immaginario monastico, passo ora in rassegna alcuni elementi luminosi e positivi suscitati dall’esperienza monastica.

Se è vero che la parola monachesimo è collegata nella storia della cultura moderna anche alle dimensioni problematiche e “ombrose” che ho ripercorso nel contributo precedente di questa serie, se siamo qui a parlarne non solo come di una reliquia o un cimelio del passato, ma come di qualcosa di cui tutti avvertiamo un certo bisogno o una profonda nostalgia, è perché la storia dell’anelito religioso di tipo monastico è ricca di luci che hanno affascinato ogni generazione umana e continuano ancora ad attrarre, sedurre e intrigare anche molti non credenti.

Come vedremo nel corso dei prossimi articoli di questa rubrica, il monachesimo è presente in quasi tutte le esperienze religiose ed è sorto al di fuori del cristianesimo. Giainismo, daoismo e buddhismo hanno sviluppato da sempre al loro interno forme monastiche, che in alcuni casi sono addirittura al cuore di tali esperienze religiose. Nel buddhismo la vita monastica ha portato non solo alla costruzione di vere e proprie cittadelle, ma addirittura di interi “stati” monastici, come il Tibet. E il daoismo sorse in Cina come movimento spirituale di tipo “monastico” che invocava il ritorno alla natura per sottrarsi alle contaminazioni della civiltà e ritrovare l’armonia con la vita.

Si tratta di esperienze grandiose, che hanno ispirato generazioni e generazioni per più di duemilacinquecento anni e hanno portato alla creazione di opere straordinarie come i templi buddhisti di India, Sri Lanka, Tibet, Bhutan, Nepal, Cina, Vietnam, Corea, Giappone, Thailandia, Laos e Cambogia, edifici e cittadelle in cui un numero incalcolabile di persone ha trascorso parte della propria vita (o l’intera esistenza) ad apprendere l’arte di vivere e di affrontare il dolore, l’angoscia e la morte.

Giunto al cristianesimo, il monachesimo ha prodotto una serie di frutti che ancor oggi sono cari a noi tutti. Partendo dalle origini, si pensi a quel tesoro letterario inestimabile che sono i Detti dei padri del deserto, dove – a differenza di Twitter, dove tutto è istantaneo ed effimero – la sapienza di vite intere è distillata in poche parole capaci di risuonare e interrogare a millenni di distanza.

Le madri e i padri del deserto si sono quindi incontrati con la cultura greca, dando vita a una ripresa in senso cristiano dell’ascesi – gli “esercizi spirituali” – pagana, come ha ricordato magistralmente Pierre Hadot. Gran parte degli strumenti adottati per crescere nelle virtù (cioè nelle facoltà positive, vivificanti) e combattere i vizi (cioè le ispirazioni e le abitudini che contrastano la vita e l’amore) li dobbiamo proprio a questo incontro veramente “luminoso”.

Il monachesimo, che è ritenuto da Edward Gibbons una delle cause della caduta dell’Impero romano d’Occidente perché sottrasse energie preziose al tessuto civile della società antica, per contro è universalmente riconosciuto anche dal mondo laico come uno dei grandi veicoli della cultura durante il medioevo. Si pensi da un lato alla conservazione nei monasteri della gran parte dei manoscritti antichi giunti fino a noi, ma anche alla nascita delle università, dovuta in larghissima misura agli ordini monastici e alle congregazioni religiose medievali.

Sono poi di matrice monastico-religiosa anche le prime istituzioni ospedaliere sorte in epoca medievale, che conobbero a partire dal XVI secolo sviluppi di enorme significato, come nel caso dei Fatebenefratelli fondati a Granada da Giovanni di Dio, o dei Ministri degli infermi (i Camilliani), sorti a Roma per iniziativa di Camillo de Lellis. E forma monastica sui generis sono state anche le beghine, primo esempio di emancipazione femminile dal patriarcato cristiano e dal clericalismo sempre più dominante nelle chiese (e ancor oggi largamente prevalente soprattutto nel cattolicesimo e nell’ortodossia). Le beghine erano donne che dimoravano insieme in piccole case e gruppi, al di fuori della struttura gerarchica della chiesa, per vivere una trasformazione spirituale in una vita monastica sprovvista di voti. Inutile dire che, essendo donne libere in seno a una struttura totalmente dominata dal mondo maschile, pagarono a caro prezzo la loro scelta, venendo accusate ingiustamente e a più riprese di eresia o addirittura di stregoneria.

Lo scontro del cristianesimo con la modernità, lungi dallo spegnere la ricerca monastica o dal confinarla in spazi di pura opposizione al mondo, ha visto invece emergere molta luce soprattutto laddove religiosi e religiose hanno cercato di unire invece di dividere, di incontrare e amare il mondo nella cella del loro cuore piuttosto che contrapporsi ad esso come una semplice forma di controcultura. C’è stata luce, allora, nel nascondimento di Charles de Foucauld e delle piccole fraternità discese spiritualmente da lui e sparse in molti luoghi estremi e abbandonati del mondo. Un monaco come Silvano dell’Athos ha ricordato al mondo intero che nell’annuncio cristiano non c’è tenebra in cui la luce non possa brillare: “Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!” recita una delle sue più celebri esortazioni. E dal monachesimo sono partiti o sono stati riempiti di linfa vitale in ambito cattolico e non solo il rinnovamento interiore della spiritualità cristiana recato dal movimento liturgico, e quello esteriore della ricerca della comunione tra le chiese.

Da alcuni ambienti monastici è irradiato un messaggio di apertura al mondo, di capacità di vivere ai margini delle chiese e della stessa fede, fondamentale per quel lungo periodo di transizione da una fede precritica a una fede in dialogo sincero con la cultura moderna, come ricordava con acume Ernesto Balducci negli anni Settanta. Dobbiamo tantissimo in tal senso a luoghi come Taizè, Bose e Camaldoli, dove si è imparato che il radicalismo evangelico della ricerca monastica non solo non chiude in una fortezza, ma anzi consente al mondo di ritrovare un proprio cuore pulsante, a prescindere dalla fede e dalle fedi. E oltre oceano di enorme portata è stata la figura di Thomas Merton, instancabile e radicale ricercatore del divino e dell’umano, ovunque e in ogni cosa o persona. La sua opera e la sua parabola personale, che non cessano per fortuna di essere studiate e riprese in ogni angolo del mondo, hanno conosciuto una diffusione senza pari in ambito cristiano negli ultimi cinquant’anni.

Tutta questa “luce” irradiata dal monachesimo nella storia ha trovato riflesso in una serie notevole di opere in campo letterario e cinematografico. Si pensi a capolavori come Silenzio di Shūsaku Endō (e alla sua ottima trasposizione sul grande schermo ad opera di Martin Scorsese), alla serie di grandi pellicole dedicate a Francesco d’Assisi (dirette tra gli altri da nomi come Liliana Cavani, Roberto Rossellini e Franco Zeffirelli), a Vision di Margarethe von Trotta (dedicato a Ildegarda di Bingen), alla biografia in forma cinematografica di Edith Stein, La settimana stanza, di Márta Mészáros, o alla grandiosa epopea di Andrej Rublëv, in cui Andrej Tarkjosvkij si serve del monaco-pittore russo (e di altre figure analoghe) per raccontare la forza che l’arte e lo spirito hanno di vincere sulla violenza sanguinaria dell’umanità (tema ahimè più che mai attuale…).

E non è certo il solo monachesimo cristiano a fare capolino in maniera ispiratrice nel mondo della cultura: veri e propri cult come i libri di Jack Kerouac sono pieni di riferimenti tratti dal mondo e dalla disciplina monastica buddhisti, che non a caso sono stati assunti spesso come l’unica forma di religiosità veramente aperta e universale dalla beat generation.

Dunque il radicalismo monastico ha prodotto luci e ombre, e ha costantemente catturato l’immaginazione umana, in ogni epoca dal suo sorgere. Ha conosciuto alti e bassi, morti e rinascite, deviazioni miserevoli e fioriture straordinariamente vitali. Perché? Nel prossimo contributo, ripercorrendo i tratti fondamentali con cui il monachesimo si è presentato nella storia, inizieremo ad abbozzare una risposta a tale interrogativo.