Ho l’impressione che diversi amici teologi e giornalisti cattolici, dopo la pubblicazione dell’intervista a papa Francesco contenente affermazioni sulle persone omosessuali, si siano concentrati molto poco sul nodo centrale del problema, per lanciarsi in complesse elucubrazioni sull’utilizzo improprio del taglia e cuci nel filmato in questione, sul ruolo e gli eventuali scivoloni della macchina della comunicazione vaticana, e via dicendo.
Capisco bene che non sia facile mantenere una cattedra o una posizione che è accompagnata in vari modi dall’aggettivo “cattolico” qualora si decida di entrare in questioni di questo genere, e perciò comprendo, almeno in parte, questa tendenza, come direbbero gli inglesi, alle “red herrings”, cioè alla distrazione o deviazione rispetto ai problemi fondamentali che sono stati sollevati.
Siccome non ho preoccupazioni legate alla mia professione o a ruoli istituzionali, ma mi sento semplicemente una persona dedita ad aiutare gli altri a pensare e riflettere anche sulle cose più scomode e difficili, vorrei perciò essere chiaro, esprimendo ad alta voce quello che ritengo essere il nodo centrale.
La chiesa cattolica (ma anche tutte le altre chiese allineate su posizioni analoghe) non solo non deve escludere persone o comportamenti omosessuali, ma deve uscire altresì dalla mera ipotesi di dover “tollerare evangelicamente” la loro presenza e il loro comportamento. Perché?
Tolleranza significa fondamentalmente condanna di un principio ma accoglienza delle persone, condanna dell’errore ma misericordia verso l’errante. Nel caso in questione, significa affermare che l’omosessualità è peccato o quanto meno, come fa anche il Catechismo della chiesa cattolica, che rappresenta una sorta di “disordine” o malattia, di comportamento “contro natura”.
Si potrebbero far scorrere fiumi di inchiostro al riguardo. Mi limito solo a dire che, ammesso e non concesso che sia possibile concordare su cosa sia “naturale” e cosa non lo sia, è segno quanto meno di scarsa riflessione l’assumere che l’andare “contro natura” sia sempre sbagliato. L’evoluzione, il progresso che gli esseri umani apportano, è spesso proprio il frutto di un trascendimento della natura (si pensi anche solo alla chimica farmaceutica e a migliaia di innovazioni tecnologiche). Non è certamente questo un solido e coerente criterio per fondare la morale, e sicuramente, in ambito cristiano, i principi di promozione dell’amore, dello sviluppo della persona e della vita sono ben più importanti rispetto alla fossilizzazione di qualsiasi visione della “natura”.
La verità è che bisogna avere il coraggio di dire, molto semplicemente, che l’unica cosa che conta, sia che si abbiano pulsioni omosessuali, sia che si avvertano pulsioni eterosessuali, è come si possano e debbano vivere, nella libertà e con rispetto e amore, le proprie scelte anche nell’ambito delle relazioni intime.
E, aggiungo con molta convinzione, maturata dopo decenni di riflessione anche sofferta, che è fondamentale dire altresì, anche sulla scorta dell’esperienza concreta, che non esiste alcuna evidenza di problemi che insorgerebbero quando un bambino ha genitori dello stesso sesso. Personalmente, trovo meravigliose tutte le famiglie arcobaleno che conosco (e sono molte: non vivo in Italia…), e mi paiono addirittura stabilire degli standard morali superiori rispetto alle famiglie “tradizionali”.
Aggiungo (consiglio la lettura al riguardo degli ottimi e competenti articoli di padre Alberto Maggi) che non è neppure lecito usare la Scrittura per giungere ad affermare che l’omosessualità è disordine o peccato. E questo non solo perché con lo stesso metro si potrebbero “vietare” moltissime cose che, invece, solitamente vengono accolte a braccia aperte dai più accaniti nemici delle “devianze” sessuali (basti solo pensare al prestare denaro a interesse e al ruolo delle banche…), ma soprattutto perché la Scrittura va interpretata, la sua interpretazione cambia ed evolve, ed è il suo spirito, non la sua lettera, a vivificare. E, cosa ancor più fondamentale, la Scrittura va interpretata in base al Vangelo, e non viceversa.
Quindi concludo dicendo che, dopo molti anni di studi teologici e di riflessione sull’attualità della nostra società e del vangelo, mi sono convinto che il tema dell’omosessualità non sia, come vorrebbero diversi cattolici a disagio, una scocciatura che distrae l’attenzione da problemi più importanti per i cristiani. E’ uno snodo paradigmatico, un nodo gordiano che va assolutamente sciolto se si desidera far sì che il vangelo continui a essere annunciato con credibilità, e se si vuole che le chiese non diventino le roccaforti della cieca e mortifera reazione alla complessità del nostro mondo.
Come sapete, se avete letto la mia piccola nota autobiografica, io mi sento “diversamente cristiano”, e vorrei, con ogni mio gesto e parola, contribuire nel mio piccolo a far sì che tutti possano gustare e accogliere nel loro immaginario, nel modo che riterranno più opportuno ma con la massima fedeltà possibile al suo messaggio e ai suoi gesti, la figura di Gesù di Nazareth. Tutti, anche le chiese.