Di recente ho condiviso anche sulle pagine di Riprendere altrimenti l’articolo di Enzo Bianchi intitolato L’implosione del cattolicesimo, in cui il fondatore di Bose mette in guardia rispetto al rischio “di un cattolicesimo senza cristianesimo, di una religione teista condannata oggi all’autoreferenzialità, a fallaci tentativi di autoconservazione, occupandosi di sé stessa senza un’attesa messianica che gli dia vigore e scacci ogni paura”.

Non basta infatti invocare all’orizzonte l’esistenza generica di un dio personale e riempirsi la testa e la bocca di “dottrine cattoliche” intoccabili e immutabili per garantire alla chiesa di Roma la sua qualità cristiana ed evangelica (osservazione che, ovviamente, si applica a qualsiasi chiesa, con i dovuti aggiustamenti). Al cuore del cristianesimo vi è infatti l’idea, sintetizzata magistralmente dall’evangelista Giovanni, che nessuno ha mai visto Dio, ma Gesù di Nazareth, che ha avuto una particolare intimità con lui, lo ha raccontato a noi tutti e noi tutte con la sua vita.

Per questo è del tutto centrale, al di là dei molti (e vista la qualità di parecchie pubblicazioni religiose direi decisamente troppi) libri dedicati a temi teologici e spirituali, al di là di qualsiasi esperienza personale o fede in un dio trascendente, tornare costantemente alle fonti dell’esperienza cristiana, ovverosia alla vita stessa del Nazareno.

Certo, come insegnò quel grandissimo cristiano che fu Albert Schweitzer nella meravigliosa pagina finale della sua Storia della ricerca sulla vita di Gesù, al termine della ricerca del volto e del messaggio di Gesù, per quanto meticoloso possa essere stato il nostro studio, non ci è possibile stringere in mano certezze assolute. Rimane l’appello a cercare di capire più in profondità il vangelo cristiano mettendosi alla sua sequela, a tentoni, con quel poco o tanto che pensiamo di avere capito, nell’attesa che sia il Nazareno stesso, per grazia, a rivelarsi a ciascuna e ciascuno di noi.

Per questo, come sa chi mi legge con una certa assiduità, ritengo più importante cercare umanamente (del resto, chi di noi può davvero fare altrimenti?) il volto di Gesù, lasciando che l’incontro con lui sorprenda le nostre vite ed eventualmente le trasformi, piuttosto che professare una fede in Dio e praticare una religione qualsiasi che non abbia al centro l’umanità del Nazareno.

La vera differenza cristiana nasce lì, e può tranquillamente caratterizzare anche chi si ritiene ateo, chi non confessa la divinità di Gesù, chi non avverte alcuna presenza di un dio personale, ma sente che in quella vita c’è qualcosa di particolarmente eloquente, in un certo senso di unico, che vale la pena comprendere e vivere a nostra volta.

Perciò il mio augurio fondamentale a tutte e a tutti, per questo Natale ormai alle porte, è che l’ingresso nel mondo e nella vita, più di duemila anni fa, in un posto remotissimo e senza alcun valore o significato speciali, in una condizione di indigenza e povertà da parte del figlio di Myriam e Yosef, sia l’occasione per tornare a confrontarsi con la narrazione del volto di Dio – e ancor di più del volto dell’essere umano – che egli ci ha offerto.

Come ama dire infatti Georges Khodr’, “Dio risiede unicamente nella nudità di Cristo”.

Buon Natale!