In un articolo pubblicato a inizio gennaio nel mio blog, ho sostenuto che il futuro dell’educazione andrebbe plasmato a partire dalla ricerca di eudaimonia, la piena fioritura del sé, la sua completa realizzazione, e che questo significa concretamente che i sistemi educativi dovrebbero porre al centro l’accompagnamento dello sviluppo, che rappresenta una comprensione di gran lunga migliore e più umana dell’orientamento professionale rispetto a quella oggi prevalente soprattutto nelle nostre istituzioni scolastiche.
L’eudaimonia non è nulla di nuovo, anzi: si trova al cuore delle filosofie di Platone e Aristotele, che la ritengono il fine fondamentale della vita e offrono indicazioni preziose su come raggiungerla. Secondo Platone, ciò può avvenire mediante la sapienza, che è la pratica delle virtù (etiche), come la temperanza, il coraggio, la generosità, la magnificenza, la magnanimità, la benevolenza e la giustizia. Aristotele, direi saggiamente, nella sua discussione delle virtù aggiunge alle virtù etiche quelle che definisce virtù dianoetiche (dell’intelletto), come arte, conoscenza, giudizio pratico, sapienza e intelletto. Gli educatori dovrebbero dunque accompagnare le generazioni future perché acquisiscano virtù, ovverosia abilità, capacità di eccellere in qualcosa di buono e di positivo, per se stessi e per l’intera società.
Ogni singola virtù elencata dai filosofi antichi e dai pensatori più recenti meriterebbe un libro a sé stante, se si volesse esplorarne l’importanza nonché le potenziali critiche che le si potrebbero muovere. In questa breve riflessione vorrei tuttavia concentrarmi su due delle virtù dianoetiche di Aristotele: l’arte e la sapienza. Le virtù etiche le si apprendono e le si insegnano infatti non solo e neppure in prevalenza negli edifici scolastici. La conoscenza e l’intelletto sono per contro finalità piuttosto ovvie di qualsiasi sistema educativo.
L’orientamento funzionale di gran parte delle nostre società verso carriera e successo spinge spesso il mondo dell’educazione a mettere in rilievo solo alcune materie e discipline, etichettando tutto il resto come improduttivo, inutile. Ricordo di un mio parente il quale, all’udire la nipote che diceva: “Vorrei iscrivermi ad architettura” le rispose: “Perché qualcosa di così inutile? Finirai per fare la fame: studia economia o giurisprudenza, piuttosto!”. E se questo è ciò a cui vanno incontro gli aspiranti architetti, chissà quali reazioni può suscitare un ragazzo dalla vena o l’ambizione artistica…
Eppure, nel suo senso più ampio di techne, di attività umana che dà vita a forme di creatività o espressione estetica tramite l’esplorazione del mondo fisico, l’arte è lo strumento principale di cui disponiamo per scoprire il mondo e noi stessi durante l’infanzia. Ed è altresì l’attività in grado di darci le emozioni e la felicità più grandi. Perciò dovremmo difendere l’arte e difendere l’infanzia, invece di imporre mentalità da adulti fin dall’educazione prescolare (!!), mutando perfino il tempo che andrebbe dedicato al gioco non strutturato e alla creatività infantile in qualcosa di funzionale alle nostre agende di trasformazione dei nostri bambini nel tipo “giusto” di adulti, dotati di tutti gli strumenti necessari per “avere successo”. E dovremmo difendere uno spazio infantile nelle nostre vite adulte, visto che è la chiave della nostra capacità di continuare a crescere e fiorire e di evitare che si spenga il nostro desiderio di vivere!
Accanto alle arti dovremmo saper creare opportunità di sapienza, quale modo non solo di conoscere intellettualmente un sacco di cose utili, ma di sviluppare la nostra capacità unica e personalissima di applicare le conoscenze acquisite a situazioni inattese. La sapienza, in latino, è sapientia, da “sapere”, che vuol dire avere/provare gusto. Due sono gli elementi necessari a tal fine: molta conoscenza acquisita mediante lo studio e l’esperienza, e molta pratica nello stabilire connessioni e legami. Per questo la sapienza viene normalmente associata all’anzianità, quando il tesoro della nostra memoria è colmo sia delle cose che abbiamo imparato sia delle innumerevoli connessioni che abbiamo stabilito tra di esse, e quando siamo meno attivi ma abbiamo più tempo per collegare le cose, meditare, dare tempo a ciò che abita la nostra memoria, sia sensoriale sia emotiva.
Arte e infanzia, sapienza e anzianità: sono gli antidoti di cui abbiamo più bisogno nei nostri sistemi educativi, totalmente centrati su un’età adulta che nega o attribuisce scarso significato all’essere troppo giovani o troppo vecchi. Se i nostri sistemi educativi non soccomberanno alla tentazione di rendere ogni cosa funzionale all’economia e al successo definito da parametri decisamente angusti, allora i nostri bambini avranno veramente la possibilità di fiorire, di continuare a desiderare e a crescere, anche dopo un grande fallimento. E sapranno gustare le loro vite, senza limitarsi a sopportarle. Avranno la possibilità di essere felici.
Del tutto d’accordo! E te lo dice una che nella scuola ha vissuto trent’anni. Un caro saluto Marinella
Pd: so sempre meno dei “nostri eroi” e grande è la tristezza….