Da qualche anno, nel mio itinerario di studio e riflessione personale, non mi occupavo più di teologia. Già prima, pur essendo un normale utente della rete, non lo facevo ricorrendo a tale strumento, ma nei luoghi classici della discussione accademica: università, convegni, serate in compagnia di amici teologi e filosofi.

Poi è venuta la triste vicenda di Bose, mi sono dovuto interessare alla cronaca religiosa e… – ho scoperto l’acqua calda mi direte – mi sono accorto che avere studiato teologia, ermeneutica biblica ed ermeneutica filosofica per molti anni (circa 14, per la precisione), non serve a nulla, perché su Internet pullulano teologi formatisi soprattutto sui social network che sanno assolutamente tutto. Fatto più importante, si tratta quasi sempre di persone che non solo sanno tutto, ma che hanno certezze apodittiche, incrollabili, e che esprimono con toni anche molto aggressivi il loro pensiero.

Nella mia attività professionale principale, quella di consulente educativo e sviluppatore di tecnologie dell’apprendimento basate sull’intelligenza artificiale, mi sta a cuore più di ogni altra cosa ciò che definisco “educare all’arte del pensare”. Una delle idee chiave che ne guidano lo sviluppo è la distinzione, dovuta a un certo Immanuel Kant, tra conoscenza e pensiero.

La prima, secondo una classica definizione, non è puro possesso di informazioni o “conoscenze”, ma è una “credenza vera giustificata”. Detto altrimenti, il punto di partenza sono emozioni, opinioni, sensazioni, idee (e lo sono per tutti), che diventano conoscenza solo quando si è in grado di dimostrarne la verità a se stessi e agli altri, secondo un processo argomentativo e metodi che non siano arbitrari né fallaci.

La conoscenza – ogni conoscenza – parte da credenze, da una “fede”. E le credenze possono essere un motore molto forte nelle nostre vite (basti pensare alle fedi religiose, che certamente non hanno fondamenti scientifici o che non rappresentano conoscenze verificate o facilmente verificabili), nel bene come nel male.

La conoscenza si acquisisce non solo assorbendo nozioni, ma comprendendo processi e mostrandosi capaci di riprodurli e di comunicarli. Detto altrimenti, non è una sorta di virtù innata, ma una realtà che richiede studio, metodo, pazienza, crescita umana e intellettuale. E la conoscenza è solo una parte – preziosissima – delle nostre attività spirituali e intellettuali. E’ una delle più preziose, perché è condivisa e condivisibile, e dunque costituisce una base importante delle imprese comuni all’umanità.

L’altra componente, il pensiero, è il bisogno altrettanto fondamentale che gli esseri umani hanno di andare oltre la conoscenza acclarata, alla ricerca – tramite un dialogo nella mente e tra le menti – del significato per certi versi invisibile che si cela tra le maglie del già conosciuto, avvalendosi di percorsi di ogni genere: storici, filosofici, etici, religiosi, artistici, letterari e altro ancora.

Nella mia modesta esperienza, tutti abbiamo credenze e immagazziniamo informazioni, molti sviluppano una quantità significativa di conoscenze, e alcuni si dedicano anche al pensare. E di solito risulta significativo, stimolante, illuminante ed eventualmente foriero di nuova conoscenza soprattutto il pensiero di chi, di conoscenza, ne ha già tanta. Forse perché dispone di un buon tesoro di materiali nella propria mente con cui lavorare a nuove ipotesi, grazie al quale immaginare mondi diversi.

La comunicazione tramite internet ha fatto crescere enormemente la quantità di informazioni (i “bit” disponibili a ciascuno di noi). Ha inoltre favorito lo scambio tra chi già è in grado, al di fuori della rete, di mettere in atto percorsi rigorosi di conoscenza e di pensiero. Per contro rischia di trasformare le credenze in conoscenza, facendo leva sull’effetto di rafforzamento delle emozioni tipico delle polarizzazioni causate dalla rete.

Detto altrimenti, la rete permette a tutti di comunicare, di avere un uditorio, a prescindere dalla capacità di acquisire conoscenza e da quella di pensare. E fa credere al singolo individuo di essere veramente unico e libero, mentre in realtà, se non ha un forte bagaglio di conoscenza e di pensiero, viene schiacciato su posizioni determinate da altri onde dar vita a tribù dalle posizioni chiare e certe.

Tutto questo, se si mescola alla religione, mondo delle credenze per eccellenza, genera una miscela dagli esiti scontati e decisamente pericolosi.

Ho perciò capito perché la quasi totalità dei “bit” di natura religiosa che circolano su Internet sono ricchissimi di emozioni e di credenze, e poverissimi di conoscenza e di pensiero. E ho capito perché, lasciatemelo dire con molta chiarezza, in ambito religioso c’è bisogno come il pane di figure come Enzo Bianchi, Alberto Maggi e Vito Mancuso, sia per la loro instancabile ricerca di conoscenza, sia – e in misura ancor maggiore – per l’abilità di far crescere credenze e conoscenze attraverso la forza dubitante del pensiero.

Perché chi non sa dubitare e immaginare l’altrimenti, come avrebbe detto Hannah Arendt, diventa terreno fertile per il totalitarismo. Prima del pensiero, e quindi anche di altre nature.