Mai come nel corso di questo 2022 mi sono sentito alieno, nel senso letterale di essere totalmente spaesato nel mondo attuale. Se la cosa in sé può essere spesso benefica, in quanto può consentire di mantenere una certa distanza critica utile a cambiare almeno qualche piccolo meccanismo del mondo in cui viviamo, nell’anno in questione e nel mio caso specifico mi ha fatto sentire molto lontano, in maniera crescente, anche da alcuni “mondi” da cui in qualche misura provengo, ovverosia quelli della sinistra di estrazione socialdemocratica e del cosiddetto “cattolicesimo democratico”. Ed è stata una distanza crescente, nonché dolorosa.

L’imminenza di una nuova tornata elettorale, tuttavia, con il ribollire di emozioni e polarizzazioni sempre più apodittiche e poco lucide che colgo in rete e sui mezzi di informazione (?) italiani, mi ha portato a compiere delle riflessioni molto ponderate, che intendo condividere per aiutare a riflettere a loro volta quanti sono interessati ad ascoltare la mia voce fuori dal coro.

Non attivo la possibilità di commentare perché, non essendo un blogger di professione, e toccando nodi decisamente dolenti e controversi, non avrei il tempo di interagire – a differenza di quanto faccio nei miei soliti post – con i molti che, ne sono certo, vorrebbero farlo in questa specifica occasione.

Come suggerisce il titolo di questo mio intervento, alle elezioni del 25 settembre non voterò, pur con dispiacere, per il Partito Democratico, e ritengo sia importante spiegarne le ragioni e – crocifiggetemi pure – invitare tutti coloro che conosco a non farlo, per il bene della sinistra italiana e dell’Italia più in generale.

Dal 1989 ad oggi abbiamo assistito infatti a virate sempre più convinte a destra del principale polo della sinistra italiana.

In campo economico, qualsiasi idea tradizionale derivata dal mondo marxiano o dal pensiero sociale del cattolicesimo o da altre visioni analoghe è stata sostituita dalla convinzione che l’unico motore in grado di produrre ricchezza per tutti sia la brama di ricchezza e di potere privati individuali. La “crescita” è la parola magica che consentirebbe a tutte e a tutti di godere dei benefici generati dai veri benefattori della società: i ricchi che creano lavoro per noi tutti.

La capacità del capitalismo odierno di cancellare qualsiasi altra idea è tale che anche modalità di pensiero liberale alla Roosevelt o alla Rawls – in cui la crescita dei ricchi è accettabile solo a determinate condizioni di giustizia sociale e di redistribuzione delle ricchezze – sono ormai quasi completamente scomparse nei discorsi della sinistra italiana raccolta in seno al Partito Democratico. A dire il vero, sia la socialdemocrazia sia il liberalismo europei sembrano aver totalmente abbandonato l’idea di redistribuzione, malgrado i dati – sì, proprio i dati che vengono spesso invocati “da destra” per giustificare la mancanza di redistribuzione – dicano ovunque che la forbice tra ricchi e poveri sta crescendo ovunque nel mondo, in maniera talvolta spaventosa. 

Ulteriore segno di intolleranza verso pensieri “altri” da parte di questa vera e propria ideologia dominante che si è impadronita anche della sinistra storica italiana è la continua creazione di caricature delle linee di pensiero discordanti. Se non si crede in questo modello di “crescita”, ad esempio, allora si sarebbe paladini di una “decrescita felice”. Se non si sposa il modello della “crescita” come panacea, allora si è contro il mercato – anche se l’attuale sistema capitalistico, e in primis quello americano e sempre più anche quelli europei, sono tutto tranne che dei veri sistemi di libero mercato. E così, di seguito, tante altre semplificazioni da “intelligenza 2.0”, dove ciò che conta è sempre schierarsi, radicalizzare, e mai cercare nuove sintesi veramente intelligenti e creative.

Tra le fondamentali vittime di questi principi dominanti e totalizzanti ci sono i due settori che ogni paese civile dovrebbe assolutamente garantire, in maniera equa, a tutti: sanità e istruzione. E qui, lo sappiamo bene, negli ultimi vent’anni in Italia i tagli sono stati molto più significativi degli investimenti. E se è vero che la destra ne è stata la paladina (con l’obiettivo dichiarato di privatizzare la sanità, ad esempio, per renderla più “efficiente”), il PD ha per contro ceduto ripetutamente alla tentazione di inseguire posizioni moderate per contrastare alla destra la maggioranza politica nel paese. Salvo perdere sistematicamente le elezioni, o ottenere un effimero gradimento solo quando adottava agende in larga misura compatibili con quelle proposte dalla destra su sanità e dintorni, o quando poteva essere al governo tramite operazioni tecniche o guidate dai Presidenti della Repubblica per garantire governi non supportati da reali maggioranze politiche.

Sulla scuola, malgrado qualche buon proposito e proposte dai nomi baldanzosi (“la buona scuola” di Renzi), la sinistra non è riuscita né a incidere realmente sulla riforma dell’istruzione, né a impedirne addirittura il peggioramento (perché i dati INVALSI non saranno tutto, ma non sono neppure solamente fesserie…).

Se però su scuola e sanità si potrebbe dire onestamente che il coltello dalla parte del manico l’hanno avuto più spesso le destre negli ultimi vent’anni, dove il mio giudizio diventa decisivo e inappellabile è nei disastri di politica internazionale di cui il Partito Democratico (in una certa sintonia peraltro con l’alleanza progressista e socialdemocratica europea) è stato ampiamente protagonista.

Dopo il 1989, invece di collaborare a un rafforzamento reale dell’Unione Europea quale entità internazionale pacifica e sempre più indipendente, dotata di luoghi decisionali e di un esercito propri, la sinistra italiana ha totalmente e sistematicamente avallato ogni iniziativa bellica della Nato e/o a guida americana. Dai Balcani all’Iraq, dall’Afghanistan all’Ucraina, si è andati sempre di più verso la direzione di un’iperatlantizzazione dell’Europa.

L’innamoramento con la presidenza Obama ha fatto inoltre dimenticare alla sinistra che le politiche devastanti portate avanti in Nordafrica e in Medio Oriente proprio nei suoi otto anni di leadership “illuminata” hanno portato l’Italia a diventare, da paese visto con benevolenza da moltissimi in campo internazionale, a uno dei tanti paesi occidentali ostili al resto del mondo (e neppure uno dei più importanti…).

Ma è proprio questa totale mancanza di pensiero e di prospettive, accompagnata dalla ricerca di leader a cui appoggiarsi e da sostenere nella speranza di contare qualcosa, ad avere ormai reso il Partito Democratico una pura macchina di potere, senza progetti né idee, che sopravvive identificando in continuazione nemici e contrapponendosi a politiche altrui, in nome di una superiorità morale autoproclamata e decisamente vacua.

Ma perché questo atteggiamento?

Credo che la componente trainante siano i quadri dell’ex PCI, che per cultura erano abituati a un “antagonismo con contenuti”. Abbandonata tuttavia ogni idea marxiana (e molto più semplicemente, quasi ogni contenuto, eccettuata la difesa di qualche diritto qua e là), gli stessi dirigenti ex comunisti hanno trasferito il loro massimalismo nella continua contrapposizione a qualche “nemico”, da individuare di volta in volta.

Sono rimasto sconvolto dall’incontro in particolare con i più giovani tra loro (sotto i quaranta-quarantacinque anni), in cui ho riscontrato una notevole arroganza, la pretesa di sapere tutto, la tendenza a bollare chiunque non la pensi come loro di fake news, populismi e altri cliché di tenore analogo.

Gli ex democristiani confluiti nel PD, con qualche rara e comunque abbastanza ininfluente eccezione (come ad esempio ormai anche Prodi), oltre a essere oggi in un ruolo subalterno – anche per ragioni di macchine organizzative – agli ex comunisti, sono pure molto più avvezzi a barcamenarsi in qualsiasi situazione, senza assumere mai un vero ruolo di guida.

La componente “di sinistra” del cattolicesimo, al pari degli ex comunisti, è costantemente vittima della propria autoproclamata “superiorità morale”, con cui guarda ogni altra parte politica dall’alto verso il basso, e a ogni elezione (soprattutto nazionale) trasforma qualsiasi dibattito politico in scontro apocalittico tra bene e male. Con questo atteggiamento, invece di costruire proposte proprie, la sinistra finisce quasi sistematicamente per “reagire” – a volte in maniera scomposta – a quelle altrui.

La situazione che ho descritto ha portato il nostro paese ad avere ormai due poli (a Calenda e Renzi non concedo questa dignità) entrambi neoliberisti quanto alla visione economica, uno più conservatore e nazionalista (parola che non è necessariamente un’offesa) e l’altro più tollerante e iperatlantista. Entrambi, dunque non favorevoli all’Europa di cui ci sarebbe bisogno: il primo perché all’Europa ci crede poco, il secondo perché ha ormai totalmente americanizzato la propria visione dell’Unione Europea (e di molte altre cose, purtroppo…).

Ritengo che il Partito Democratico abbia completamente fallito, e che nel nostro paese manchino due forze fondamentali: un polo socialdemocratico e uno liberale “alla Rawls”, cioè capace di riconoscere le fondamentali esigenze di giustizia sociale. Entrambi questi poli dovrebbero e potrebbero essere europeisti nel senso più sano e positivo del termine.

La via del futuro non può più essere continuare a formare governi d’emergenza che prescindano quasi sistematicamente dai risultati elettorali, né può essere invocare voti “contro” ipotizzando sempre scenari spaventosi, in cui non si riconosce mai dignità all’avversario politico, contribuendo in tal modo a un’ulteriore indebolimento del sistema democratico.

Il voto nazionale (a livello locale il mio giudizio è molto più sfumato) al Partito Democratico attuale sosterrebbe questi meccanismi che non sono forieri di futuro, ma che anzi rischiano di preparare il terreno a scenari ancora peggiori. È ora di costruire qualcosa di nuovo e serio.